Armenia il “paese delle pietre urlanti”, come l’ha definita il poeta russo Osip Mandel’stam. Lungo la Via della Seta, alla scoperta del Caucaso nel “Nairi”, il paese dei fiumi così chiamato dai Greci già 3000 anni fa, attraverso un altopiano maestoso dominato dal biblico Monte Ararat (5.165 m) dove si è arenata l’Arca di Noè, punteggiato da monasteri millenari, verdi vallate, canyon, grotte, gole scavate da fiumi silenziosi e foreste disseminate da “khachkar” (croci di pietra intagliate), testimonianza di una profonda fede religiosa. Distrutto dalle truppe di Tamerlano, l’Armenia è stato il primo paese ad adottare ufficialmente il Cristianesimo nel 301 a.C. Ma soprattutto un viaggio nell’anima di un popolo, ospitale e fiero della sua terra e delle sue tradizioni, che fin dall’antichità ha tramandato il proprio patrimonio culturale attraverso preziosi manoscritti, conservati nell’Istituto per i manoscritti antichi Matenadaran di Yerevan, unico al mondo. Un museo all’aria aperta, con oltre 4000 monumenti e luoghi di culto sparsi su tutto il territorio, uno scrigno di tesori esaltato dai colori sorprendenti della natura che soprattutto in autunno dipinge il paesaggio di tonalità molto suggestive.
Dalla capitale Yerevan, uno dei più antichi insediamenti al mondo risalente al 782 a.C., con oltre 40 musei e gallerie d’arte, al Monastero Sevanank (IX secolo), dove lo sguardo si perde sulle vette mozzafiato che si specchiano nel lago fino alla fortezza di Garni, l’unico monumento permanente di architettura ellenistica nel Caucaso, simbolo del potere di Mitra, dio del sole, alla Cattedrale di Echmiadzin, quarta città dell’Armenia, capitale dal 184 al 340, luogo sacro per gli armeni e sede del catholicos, il capo della Chiesa apostolica armena, patrimonio dell’Umanità Unesco dal 2000. Con una sosta al Lago Sevan, il “mare d’Armenia” a 1.900 m, uno dei più grandi e bei laghi di montagna del mondo. Una natura forte e avvolgente, addolcita dal sole che in Armenia splende quasi otto mesi l’anno, il luogo ideale dove praticare trekking, ciclismo, rafting, sci e alpinismo lungo pendii di origine vulcanica ricoperti da sconfinate piantagioni di albicocche, coltivate da oltre 3000 anni. Un frutto nazionale dolce e saporito ma con un nocciolo duro all’interno, forte e indivisibile, metafora del suo popolo, che neanche la diaspora ha saputo scalfire.

Genocidio, il 24 aprile 2015 centenario di una ferita ancora aperta
Nel 1890 nell’Impero ottomano vivevano circa 2 milioni di armeni appartenenti alla Chiesa apostolica armena, sostenuti dalla Russia nella lotta per l’indipendenza dall’Impero ottomano. Per reprimere il movimento autonomista armeno, il Governo ottomano incoraggiò sentimenti di odio anti-armeno fra i curdi, con i quali condivideva il territorio nell’Armenia storica. La tensione con i curdi e le crescenti tasse imposte dal Governo turco scatenarono la rivolta degli armeni alla quale l’esercito ottomano rispose assassinando migliaia di armeni e bruciandone i villaggi (1894). Due anni dopo un gruppo di rivoluzionari armeni occupò la banca ottomana a Istanbul. L’odio mai sopito si risvegliò nella notte del 24 aprile 1915 quando iniziò a Costantinopoli la soppressione dei cittadini armeni nel territorio dell’Impero Ottomano su ordine del Comitato Centrale del partito “Unione e Progresso”, affiliato al movimento ultranazionalista dei Giovani Turchi, fondato all’inizio del XX secolo. L’obiettivo era fondare uno stato nazionale turco, un unico enorme territorio abitato solo da turchi esteso dal Mediterraneo alla Cina. Seicentocinquanta uomini politici, giornalisti, medici, avvocati, artisti e scrittori vennero prelevati dalle loro case, torturati e massacrati. Quasi un milione e mezzo di armeni dell’Impero Ottomano fu sterminato tra la primavera del 1915 e l’autunno del 1916. Nelle “marce della morte”, che coinvolsero quasi 1.200.000 persone, migliaia di armeni morirono per fame, malattia o sfinimento. Donne e bambini furono deportati nel deserto siriano, dove morirono abbandonati. Il popolo armeno fu così costretto a ritirarsi in una esigua parte del suo territorio, annesso dell’Unione Sovietica negli anni ‘20 e indipendente solo dal 1991, con la costituzione dell’attuale Repubblica Armena. La Turchia non ha mai riconosciuto il genocidio. Ancora in vigore la legge del 1927 che vieta l’ingresso degli armeni in Turchia.

Una petizione per non dimenticare – L’Associazione “Remember 24 april 1915” ha lanciato una petizione online (www.remember24april1915.eu) per ricordare e non dimenticare il genocidio armeno.
Ambasciata della Repubblica di Armenia in Italia: http://italy.mfa.am/it/
Da leggere prima di partire: Armenia, Peregrinando lungo le vie della Seta (Autore Nilo Marocchino, Fusta Editore, www.fustaeditore.it). Cinquecento chilometri a piedi all’ombra del monte Ararat, la Gerusalemme sognata dagli armeni. Un pellegrinaggio alla scoperta dei monasteri e dei caravanserragli della nazione che nel 301 fu la prima a dichiararsi cristiana.Venti giorni indimenticabili sulla “Via della seta”, tra pascoli, deserti, montagne e pianure sconfinati, sulle tracce di una cultura millenaria sopravvissuta al tragico genocidio armeno del 1915 per mano dei turchi musulmani. Da Yerevan a Yerevan, un gigantesco viaggio ad anello nei luoghi dell’anima, per ritornare alle origini e scoprire il valore e il prezzo della nostra identità.

Laura Colognesi

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