A quasi vent’anni dal suo fortunato romanzo di esordio, Il delitto della contessa Onigo, lo scrittore trevigiano Gian Domenico Mazzocato propone una vicenda accaduta su una collina trevigiana agli albori del secolo, nel profondo e miserabile Veneto che di lì a qualche anno sarebbe stato teatro del primo conflitto mondiale.

LA STORIA
1909, nord di Treviso. Montello, la collina che, come ha detto il grande germanista Hans Kitzmüller, Mazzocato ha reso mitica grazie alla sua scrittura (Il bosco veneziano e altri testi).
DELITTO SULLA COLLINA PROIBITA, edito da DBS Zanetti,  rievoca un brutale episodio di cronaca nera: la morte di un bambino, Américo Gaigher, che viene trovato impiccato ai margini del bosco dove si era recato a rubare un po’ di legna. Delitto davvero o suicidio? Oppure morte accidentale?
L’inchiesta è difficile e si dipana tra l’omertà che scatta in un borgo di poche anime perduto nella foresta collinare e l’onestà di qualche testimone che vorrebbe raccontare quanto ha effettivamente visto.
Tra l’evento e il processo trascorrono parecchi mesi. Alla fine prevalgono i “non so” e i “non ricordo”. In effetti c’è un colpevole, indicato da mille indizi e anche da qualche testimonianza che si fa largo tra le tante, troppe reticenze. Si tratta di Santo Carlassara, un uomo violento e rozzo.
I tempi fisici del romanzo sono quelli del processo. Mazzocato, come è nella sigla della sua scrittura, procede ad un racconto rapido e serrato che si fa attraverso le cronache dei giornali e il diario di don Fervido, il parroco del piccolo borgo del Santo Angelo Custode dove è avvenuto il fatto.
Don Fervido, vera voce narrante dell’evento, ha un passato avventuroso alle spalle. Ha partecipato ai moti milanesi del 1898 e ha corso gli oceani a caccia di balene. La balena, il mostro, il leviatano che lo tormenta ogni notte in sogno. È lui il tormentato ago della bilancia di questa intricata condizione.
“Non si tratta solo di fare giustizia per la morte di Abele, ma anche di capire le ragioni di Caino. Perché il giorno dopo la sentenza si torna a vivere e nella vita paesana un equilibrio di convivenza bisogna pur trovarlo”, dice Mazzocato che contestualizza l’evento facendo respirare l’atmosfera di quell’epoca.
E nel contempo, come è tipico dei suoi modi narrativi, l’autore viaggia nei miti e nelle fole della terra veneta. Glielo consente soprattutto uno straordinario personaggio, la misteriosa Maria Ultima, un po’ strega, un po’ guaritrice e soprattutto la donna che aiuta le persone in agonia a morire.
Insomma quella che i sardi chiamano accabadora, colei che fornisce l’eutanasia a chi non ha più nulla da chiedere alla vita. E un po’ tutto il romanzo si pone come riflessione sui temi della vita, della morte, della giustizia, delle pulsioni profonde dell’animo umano. Con qualche sorpresa nel finale.

L’AUTORE
Gian Domenico Mazzocato (Treviso, 1946) ha iniziato a raccontare il profondo Veneto dei miti popolari, della miseria, dell’emigrazione, dello sfruttamento, venti anni fa con Il delitto della contessa Onigo (Premio Gambrinus Mazzotti). La sua narrativa si nutre della storia della sua terra e fa di lui uno degli indagatori e dei “contafole” più autentici e acuti di quello che è diventato il NordEst.

La sua opera è in www.giandomenicomazzocato.it.

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