Mostre a Milano. Risale a più di cento anni fa l’ultima esposizione monografica dedicata a uno dei massimi interpreti del divisionismo italiano, Giuseppe Pellizza da Volpedo. Era stata organizzata nel 1920 proprio a Milano, alla Galleria Pesaro. Ora, questo personaggio ottocentesco, affascinante quanto misterioso, appare in tutta la sua attualità nella mostra che la GAM, Galleria d’Arte Moderna, gli dedica nella fastosa Villa Reale. Si tratta di un evento eccezionale che entra nell’ambito dell’OLIMPIADE CULTURALE DI MILANO CORTINA 2026. La popolazione, non solo milanese, a buona ragione, può andarne fiera.
Percorso artistico, sociale e sentimentale. Mostre a Milano
Le quaranta opere provengono da collezioni pubbliche e private, dall’estero e dall’Italia. Sono distribuite in varie sezioni, secondo un percorso che ne traccia armonicamente gli sviluppi dal punto di vista non solo storico, ma sociale e personale. Al piano terra, nella Sala I, il tema che accomuna le opere è La formazione di un pittore (1887-1891), nella Sala II,si tratta L’avventura divisionista (1892-1894), nella Sala III, Simbolismi (1895-1901), nella Sala IV, Oltre il Quarto Stato (1901-1906) e, infine, nella Sala V, Tra Volpedo e Roma. L’amore per il paesaggio (1902-1907). Una monumentale scalinata a tre rampe conduce i visitatori al primo piano, dove nella Sala XXIV, regna il Quarto Stato.

Mostre a Milano. Pellizza da Volpedo: una vita breve quanto intensa
A mezza estate del 1886, in un piccolo borgo del tortonese, all’imbocco della Valcurone, Volpedo appunto, nasce Giuseppe Pellizza. La sua famiglia possiede vigneti, terre e una casa di proprietà a Porta Sottana. Una prematura attitudine per il disegno lo porta, dapprima, a frequentare le scuole tecniche nella vicina Castelnuovo Scrivia. Ma la sua irrefrenabile curiosità giovanile richiede ben altro. A inserirlo, poco più che sedicenne, nell’ambente artistico milanese sembra sia stato proprio un acquirente dei vini di papà, Alberto Grubicy. A Milano potrà permettersi di frequentare privatamente l’atelier dell’allora famoso Giuseppe Puricelli. È anche ospite nella sua dimora in Via Palermo, a pochi passi dall’Accademia di Brera, dove può seguire l’iter accademico. I campi di studio scelti sono l’ornato e il disegno di figura, mentre con il Puricelli si dedica alla pittura ad olio e al paesaggio.
Quando questi, nel 1886, lascia Milano per la Russia, si concede lezioni private con Pio Sanquirico, Dal nuovo maestro apprende la copia di modelli viventi. Mai sazio e incoraggiato dai propri personali successi, visitata a Venezia l’Esposizione Nazionale, si trasferisce nella capitale. Vi frequenta l’Accademia di San Luca e l’Accademia di Francia a Villa Medici, dove accede alla scuola libera del nudo. Insoddisfatto dell’ambiente accademico, è, in realtà, felice di aver goduto da vicino della bellezza dei monumenti dell’antichità e dell’arte rinascimentale. È, per lui, quindi, la volta del fervido mondo artistico di Firenze.
All’Accademia di Belle Arti, allievo di Giovanni Fattori, stringe l’importante amicizia con Plinio Nomellini. Cesare Tallone sarà, poi, suo maestro all’Accademia Carrara di Bergamo. Qui instaura nuove piacevoli amicizie e inizia a praticare la fotografia con un apparecchio di seconda mano procuratagli dal Berta, suo compagno di corso. Nel 1890, con un breve deludente periodo presso la Ligustica di Genova, dove segue un corso di pittura di paesaggio, ha fine il suo piacevole, lungo periodo di apprendistato. Disgrazie familiari lo richiamano al paesello, che, d’ora in poi, diventerà suo personale centro di gravità.

Mostre a Milano. Il famoso atelier nel paese natale
L’officina, ricca di suggestioni proprie dell’artista ottocentesco, è ottenuta adattando un locale adiacente alla casa paterna. Si presenta come una vasta stanza, con insolite dimensioni 6,50 per 8,25 metri, con un’altezza di 5,5. Nella parte alta della parete d’ingresso a nord-ovest, tre grandi finestrature garantiscono un’abbondante illuminazione naturale, ma, proprio per l’orientamento scelto volontariamente, escludono immissioni dirette di raggi solari. Allo scopo di ottenere le condizioni ottimali per realizzare le proprie opere ispirate alla pittura divisionista, l’artista fa creare un ampio lucernaio con luce zenitale, quindi, capace di esaltare la tersità dei colori.
L’apertura della finestra centrale, in contemporanea con quella della porta sottostante rende agile, per quanto possibile, il passaggio di dipinti dalle dimensioni, a dir poco, inusuali, quali “Fiumana” e, soprattutto, “Il Quarto Stato”. Il restauro del locale, operato nel 1992/93 dalla ditta Kermes, mantiene la colorazione originaria, una tonalità scura, ma calda, della terra di Siena tendente al bruno. A completare l’ambientazione romanticamente teatrale, sono esposti strumenti d’arte, quali un macinacolori, i pennelli e le tavolozze. Non mancano oggetti di uso quotidiano, molti libri e il ricco epistolario, preziosa fonte documentaria per gli studiosi. Una lunghissima scala usata, ora come un tempo, per raggiungere gli scaffali più alti, rappresenta una suggestiva linea verticale che sottolinea la notevole terza dimensione del locale.
Il pittore di un solo quadro. Mostre a Milano
Pellizza, per il grande pubblico, appare identificarsi nella sua immensa opera, una tela gigantesca per importanza e per dimensioni, di 2 metri e 85, per 4 metri e 50. È la conclusione di una travagliata gestazione, rallentata dal suo perfezionismo ad oltranza. La realizzazione, documentata da cartoni e schizzi, si protrae, infatti, per oltre dieci anni, fino al 1901. Dal bozzetto a olio” Ambasciatori della fame”, si passa al risolutivo “Fiumana”, seguito da una tela omonima nel 1895, apparentemente incompiuta e reinventata ne “Il cammino dei lavoratori”.
Tale titolo, che suggerisce una visione di sogno, si trasformerà in semplice sottotitolo del definitivo “QUARTO STATO”. L’ispirazione per la scelta finale di questo titolo deriva dalla lettura della “Storia Socialista della Repubblica Francese” di Jean Jaurès, acquistata a dispense, in edizione economica. Ai tre stati privilegiati, rappresentati da nobiltà, clero e borghesia, se ne affianca un altro, appunto, il quarto, costituito dalle masse popolari.
Contadini, con mogli e figli piccoli avanzano calmi, ma determinati, illuminati dal sole. La luce apre alla speranza di una soluzione positiva. Il luogo è la piazza all’interno delle mura antiche del borgo, proprio davanti a Palazzo Malaspina, l’edificio signorile che domina borgo e campagne. In primo piano procedono due compaesani di età diversa, Clemente Bidone e Giovanni Zarri e una donna con un bimbo in braccio. Nella figura femminile è facile riconoscere la moglie Teresa, fedele compagna dell’uomo che aspira a rifare il mondo con le sue pennellate e che con lei condivide traversie e sofferenze. Nel 1920, il quadro sarà acquistato attraverso sottoscrizione pubblica e diventerà, infine, l’attraente fiore all’occhiello nella Galleria d’Arte Moderna.

Mostre a Milano. Volpedo, un piccolo mondo con piccoli gesti
L’attenzione alla vita quotidiana, ai temi campagnoli, agresti, quasi arcadici è resa, in un continuo work in progress, dalla pittura en plein air. Il forte contrasto tra ombra e luce, una luce particolarmente intensa, è reso dall’artista con l’uso di colori puri, applicati a puntini o a lunghi tratti, seguendo la legge della complementarità. È il controluce a creare le vibrazioni luminose. Tra le varie opere in mostra si è colpiti dall’atmosfera emanata da “Idillio campestre”, un tondo del diametro di cm. 100, dipinto in varie fasi dal 1896 al 1901. L’asse compositiva è costituita da un maestoso albero che sembra voler proteggere il sereno girotondo dei bambini. Accanto, a fare pendant, un altro tondo, simile per dimensioni, intitolato “Passeggiata amorosa”, è sottotitolato “Idillio verde”.
La sua realizzazione è di poco posteriore, del 1901/1902.Icona del Divisionismo, summa della cultura social lombarda di radice illuministica, vicino agli ideali di Filippo Turati, con opere apprezzate in innumerevoli mostre e Biennali, a soli 39 anni si procura la morte nel suo regno, il suo amato atelier. In realtà, non sono l’arte o gli ideali sociali, ma la vita, a tradire il pittore, spezzando la sua fiducia nel futuro. La morte di parto della moglie, quella del figlio neonato, l’età avanzata del padre, non più in grado di essere forte e produttivo, come un tempo, creano in lui uno sconforto, un vuoto spaventoso, insostenibile. Come se le sue mani delicate, così diverse da quelle ruvide e assuefatte al dolore dei contadini che vivono intorno a lui, non trovassero dove aggrapparsi…

Mostre a Milano. Curatela tutta al femminile
Le curatrici della mostra sono Aurora Scotti Tosini e Paola Satti. Ad Aurora Scotti, direttore scientifico dei musei di Pellizza e docente al Politecnico, si deve un approfondito studio su Giuseppe Pellizza, dedicato alle due figlie del pittore, rimaste, nel tempo, a Volpedo, quali vestali campestri, a onorare il patrimonio artistico del padre. L’eccezionale evento organizzato alla Galleria d’Arte Moderna si avvale del contributo di Fondazione Banca Popolare di Milano, della collaborazione con i Musei Pellizza da Volpedo ed è co-prodotta dal Comune di Milano GAM con l’associazione culturale METS Percorsi d’Arte. Quale prezioso ricordo è disponibile il catalogo, ricco di documenti e di fotografie. L’edizione è Dario Cimorelli Editore.
di Maria Luisa Bonivento Thurn



